Pisa, ottobre 2024
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
Innanzi tutto mi devo scusare profondamente perché quando voi vedrete questo video io sarò ad un’altra conferenza.
Poi soprattutto devo ringraziare per l’attribuzione del Premio di cui sono molto onorato, specialmente un Premio nel nome di Galileo, uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, che però nella verità ha rischiato la galera e anche la vita.
Mi stavo chiedendo come riassumere in pochi minuti il progetto di ricerca della vita e, in realtà, pensandoci bene è capire l’emergere, la struttura e la dinamica dell’economia capitalistica contemporanea.
Questo – mi sa, ci avran pensato anche gli altri economisti prima di te! – beh, ci han pensato molto gli economisti classici: Adam Smith vede lucidamente che la società che si stava industrializzando è la prima nella storia umana in cui i redditi pro capite crescono. Questo non vuol dire che nella storia umana i redditi non siano aumentati, però sono aumentati un po’ da quando eravamo raccoglitori, cacciatori e dediti all’agricoltura, però l’aumento del GDP è stato compensato dall’aumento della popolazione, per cui essenzialmente rimane piatto il reddito pro capite.
L’unico impressionante caso avviene con la Rivoluzione Industriale, in cui aumentano anche i redditi pro capite e non finiscono di aumentare fino adesso (salvo crisi eccetera).
Capire questa cosa qui è una cosa difficile e bisogna dire che la maggior parte della professione contemporanea non ci pensa perché passa il suo tempo a giustificare – come il Dottor Pangloss nel “Candide” di Voltaire – giustificare l’esistente come il migliore dei mondi possibili. Invece c’è una minoranza che si pone gli stessi problemi di Adam Smith: che cosa fa crescere, fa emergere le società capitaliste contemporanee? – e questo naturalmente include anche paesi cosiddetti socialisti – e cosa li tiene assieme, cioè come si coordinano in maniera decentrata? Allora, io ho tentato di spiegare e di interpretare il sistema economico come un sistema complesso in evoluzione. Complesso non vuol dire complicato. I sistemi complessi sono dei sistemi che interagiscono tra di loro e nei quali il risultato collettivo non è imputabile al desiderio e ai comportamenti di nessuno dei componenti. Pensate a un alveare. Non c’è un comportamento tipico dell’ape. Le api fanno diverse cose però l’alveare si coordina. Lo stesso la società contemporanea, con una enorme complessità, fa perfettamente la stessa cosa. La complessità è un oggetto che anche formalmente studiare è difficile, perché è molto più facile dire “l’economia va così” e poi imputarla a un mitico soggetto. Per esempio, voi leggete sui giornali “il mercato è nervoso, il mercato è depresso” come se fosse il signor Mercato. Invece, la dinamica del mercato è data da comportamenti degli utenti economici, magari contraddittori tra di loro, e bisogna studiare anche sia empiricamente che formalmente queste dinamiche.
Dicevo, complesso ed evolutivo. Ci sono sistemi complessi che non sono evolutivi. Se voi andate a casa stasera e fate bollire degli spaghetti, quello è un sistema complesso con addirittura tre transizioni di fase, dall’acqua fredda all’acqua che bolle, però non dite “io vado a casa ed evolvo gli spaghetti”, perché avete tutto dall’inizio: avete gli spaghetti, avete il fuoco, avete l’acqua, avete la pentola. Invece i fenomeni evolutivi sono quando, lungo il cammino, emergono delle cose che non c’erano prima. È vero in biologia e a maggior ragione è vero nell’ambito socio-economico, in cui emergono nuove tecnologie, nuove forme di organizzazione, a volte nuovi comportamenti.
Ho appena finito un manuale – il primo volume di un manuale – in cui tento di affrontare questi fenomeni e queste proprietà del sistema economico. Ne menziono due. La prima è l’innovazione, cioè un motore fondamentale dello sviluppo economico – dalla Rivoluzione industriale in poi almeno – è stata proprio l’innovazione tecnologica ed organizzativa. Allora bisogna chiedere “ma da dove viene, come succede, chi è che innova, come si diffondono le innovazioni nel sistema?” E devo dire che io sono stato tra coloro che hanno da quarant’anni almeno contribuito all’analisi di questi fenomeni.
Un’altra importante questione è come si comportano gli agenti economici, tutti noi – le imprese, o gli agenti tutti noi quando non siamo in condizioni economiche – allora c’è la risposta semplicista che dice “gli agenti economici si comportano in base al loro interesse, fanno le cose perché gli viene in tasca qualcosa”. Questo è vero entro certi limiti ma non spiega tutti i comportamenti umani e non spiega le regole. Per esempio, non spiega perché anche quando non c’è praticamente nessun agente di polizia in giro la gente non va a rapinare le banche. Perché ci son dei valori (non si ruba il portafoglio per strada), ci son delle regole di comportamento che a volte moderano il perseguire il proprio interesse, e addirittura a volte vanno contro il proprio interesse. Il fatto che la gente faccia il soldato e sia disposta a morire in guerra è sicuramente contro l’interesse immediato della gente che vuole sopravvivere. Però è appropriato che un bravo cittadino in certe circostanze rischi la vita e questo come motivazione non ha niente a che vedere con “cosa me ne viene in tasca”.
Capire bene le motivazioni che sottendono ai comportamenti degli individui e a maggior ragione delle organizzazioni è una sfida fondamentale, e su questo di nuovo Adam Smith è più avanti degli economisti contemporanei, per cui ci sono tante motivazioni di cui l’interesse è una di quelle, ma ce ne sono tante altre. Se ci fosse solo l’interesse la società – e nemmeno l’economia – starebbe assieme. E questo è un campo naturalmente in cui gli economisti devono essere umili abbastanza da parlare con sociologi, psicologi, eccetera.
Un ultimo ambito di ricerca che di nuovo è relativamente sulla frontiera è la relazione tra distribuzione del potere e distribuzione della conoscenza.
Non è che chi sa di più comanda. Non succede neanche nell’università, figuriamoci nella società, e naturalmente questo induce tensione a livello sociale, però capire le distribuzioni del potere, le distribuzioni delle competenze, dei saperi e correlativamente anche la distribuzione del reddito del prodotto nazionale è una sfida fondamentale, crea ambiti enormi avendo sempre in mente che uno tenta di capire la società – almeno io ho tentato di capire l’economia della società – per dare il mio piccolissimo contributo a rendere il mondo migliore e più giusto: poi che ci sia riuscito o no è un altro conto – ma questo è l’aspetto politico normativo che ha sempre informato la mia attività di ricerca.
Vi ringrazio di nuovo per il Premio.