Pisa, ottobre 2014
Discorso del Vincitore del Premio Galilei
“La sfida globale dello sviluppo sostenibile” Prof. Carlo Andrea Bollino
Desidero rivolgere un caloroso saluto e un ringraziamento a tutti i partecipanti del Rotary e a tutti i presenti.
L’argomento che ho scelto di trattare: “La sfida globale dello sviluppo sostenibile” coinvolge diversi valori connaturati all’azione umana.
Non c’è futuro senza crescita economica. Non c’è crescita senza sviluppo sostenibile. Non c’è sviluppo sostenibile senza lotta all’inquinamento. Non c’è riduzione dell’inquinamento senza investimento. Non c’è investimento senza ricerca scientifica. Non c’è ricerca senza sacrificio. Non c’è sacrificio senza lo spirito etico del ricercatore che guarda al risultato di domani invece che solo al tornaconto dell’oggi.
Afferma nel suo Messaggio per la celebrazione della 41 giornata mondiale della pace il Santo Padre Benedetto XVI: “dobbiamo avere cura dell’ambiente: esso è stato affidato all’uomo, perché lo custodisca e lo coltivi con libertà responsabile, avendo sempre come criterio orientatore il bene di tutti”.
Prosegue nella Lettera Enciclica Caritas In Veritate: “Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. L’economia, infatti, ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento.”
Questa premessa delinea i limiti del pensiero analitico che è proprio della Scienza Economica. Laddove i modelli teorici dell’Economia offrono soluzioni complete e complesse volte alla ricerca dell’ottimo e dell’efficienza del funzionamento del sistema economico, industriale e tecnologico, nullo o limitato può essere il loro valore precettivo per guidare la effettiva azione per la “cura dell’ambiente”.
Mi soffermerò su due dimensioni della cura dell’ambiente: una microeconomica e una macroeconomica.
1 La dimensione microeconomica della cura dell’ambiente
Sviluppo sostenibile
Sotto il profilo socio-economico, e’ definito sostenibile uno “sviluppo che risponde alle necessità delle generazioni presenti, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze”.
Questa definizione non è, tuttavia, univoca: nel lungo termine tutto è destinato a cambiare, adattarsi ed evolvere.
Esiste, tuttavia, una verità banale: al limite, sostenibilità significa che la quota di fonti energetiche rinnovabili alternative deve tendere al 100%, poiché le risorse fossili esistenti, essendo esauribili, sono destinate a scomparire. Occorre quindi incoraggiare nuovi investimenti per la diffusione di nuove tecnologie di fonti rinnovabili e per comportamenti rivolti ad una maggiore efficienza energetica.
In questo contesto, definisco sviluppo sostenibile il sentiero di crescita determinato dall’ammontare di investimenti tecnologici, che sia sufficiente a conseguire gli obiettivi ambientali
Conferenze di Rio, Kyoto e Copenhagen
Nelle ultime due decadi, l’attenzione globale allo sviluppo sostenibile è ruotata intorno al trinomio: crescita economica, emissioni inquinanti, cambiamento climatico. Dalla prima Conferenza delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro del giugno 1992 che lanciò il tema dello sviluppo economico sostenibile, si passò nel 1997 alla sottoscrizione del protocollo di Kyoto, che propose la riduzione globale delle emissioni di gas a effetto serra al 2012 di almeno il 5% rispetto al 1990.
Come noto, l’Unione Europea ha tentato di assumere un ruolo primario a livello globale per il 21esimo secolo, con il cosiddetto “Pacchetto Clima-Energia 20-20-20”, introdotto nel 2008.
Tuttavia, complice anche la crisi finanziaria mondiale del 2008-09, la successiva Conferenza di Copenhagen del dicembre 2009 si è rivelata un fallimento poiché molti Paesi, per non dover sostenere gli oneri di abbattimento delle proprie emissioni inquinanti, non hanno sottoscritto l’accordo proposto.
Recentemente la UE ha lanciato un nuovo programma al 2030 per raggiungere il 27% da fonti rinnovabili
La domanda mondiale di energia
L’attuale fabbisogno totale del sistema energetico mondiale è circa 12 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) ed è costituito per l’81% da fonti primarie di origine fossile, petrolio, carbone e metano. Trainata da una forte crescita del PIL mondiale (5% nel 2010, 4% nel 2011 e 2012), la crescita della domanda globale di energia primaria è tornata a crescere del 4,7% nel 2010 (dopo il -1,1% del 2009), con un incremento delle emissioni inquinanti, senza precedenti, del 5,3%.
Le emissioni hanno raggiunto le 30,4 gigatonnellate (Gt) nel 2010, nonostante le emissioni dei paesi OECD siano rimaste inferiori ai livelli del 2008.
Attualmente, la Cina è il paese più inquinante al mondo (dal 2007), con una quantità di emissioni di anidride carbonica superiore del 40% rispetto agli Stati Uniti.
Il problema del coordinamento globale
Per rendere credibili questi Scenari, occorre dare risposta a tre questioni economiche del problema della sostenibilità. La prima questione riguarda il trade-off globale del bene pubblico in questione: chi sostiene il costo privato e chi si appropria dei benefici pubblici? La seconda questione riguarda il trade-off intergenerazionale tra le generazioni presenti e future: chi si assume l’onere degli investimenti per lo sviluppo sostenibile? La terza questione riguarda la dimensione dello sforzo economico necessario: è questo un costo monetario “mai affrontato” dall’uomo?
Il problema del trade off
Il problema del trade-off globale deriva dalla sua dimensione spaziale. Gli effetti delle emissioni di gas effetto serra non sono infatti localizzati in un’area circoscritta in quanto si disperdono su tutta la superficie terrestre.
Molteplici studi mostrano infatti che il costo per la riduzione delle emissioni, se non sostenuto da tutte le nazioni coinvolte, aumenta in misura non lineare. I costi aggiuntivi della non partecipazione del gruppo di nazioni più povere responsabili del 20% delle emissioni sono pari al 50% in più per i rimanenti Paesi. La eventuale non partecipazione di tutti i Paesi emergenti (che emettono il 30% del totale) comporta un costo aggiuntivo per l’area OECD del 90%, evidentemente un aggravio politicamente irrealizzabile.
Il problema intergenerazionale
Il problema intergenerazionale deriva dalla dispersione temporale del fenomeno.
La questione diviene etica. I decisori politici devono maturare la consapevolezza che, per garantire uno sviluppo economico sostenibile, devono difendere valori che travalicano l’orizzonte del loro mandato.
Investimento e risparmio, dove indirizzarli?
Dal punto di vista macroeconomico, la dimensione dell’investimento necessario richiama immediatamente il problema della generazione del risparmio. Come noto, infatti, nel sistema economico – secondo la Teoria Generale di Keynes – il risparmio e l’investimento sono identicamente uguali.
L’investimento in nuove tecnologie per un nuovo paradigma sostenibile in cui la crescita economica sia dissociata dall’utilizzo crescente di energia consiste nella promozione combinata di:
• risorse rinnovabili
• efficienza energetica
• risparmio energetico, riformando gli stili di vita.
L’implementazione delle energie rinnovabili risulta essere una stringente necessità non soltanto con riferimento alla sostenibilità, ma anche in relazione alla sicurezza energetica.
La seconda componente è rappresentata dagli investimenti in nuove tecnologie soprattutto sul versante dell’offerta: ad esempio, idrogeno, cattura di carbonio, nucleare.
La terza componente, il risparmio energetico nell’utilizzo finale di energia, permette l’attuazione di processi più efficienti nel settore industriale, l’introduzione di veicoli leggeri, gli investimenti nel settore dell’edilizia (e quant’altro).
2 La dimensione macroeconomica della cura dell’ambiente
Lezione dalla storia (il Piano Marshall)
Volgendo il nostro sguardo alla recente storia economica dell’Occidente è facile constatare che lo sforzo attualmente richiesto per promuovere il nuovo investimento e nuovi comportamenti non rappresenti una novità.
Un eccezionale periodo di sviluppo economico caratterizzato da cambiamenti tecnologici e da una modifica degli stili di vita è stato quello della ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale dove il piano Marshall ha avuto un ruolo essenziale. Si trattò di un grande programma di adeguamento strutturale, che espandendo lo stock di capitale dell’Europa Occidentale, ha reso possibile la mobilitazione di risorse su larga scala per ricostruire le economie e trasformare le inimicizie in alleanze.
Gli aiuti forniti dal governo americano all’Europa hanno sostenuto il consumo durante gli anni di riadattamento e riorganizzazione; hanno consentito di ridurre la spesa pubblica; di limitare l’attività di regolamentazione e di aprire le economie al commercio estero.
Ciò che ha reso straordinario il momento storico è stata l’assunzione di un impegno morale da parte della società occidentale volto ad affrontare il difficoltoso momento successivo alla Seconda Guerra Mondiale. L’esigenza di ricostruzione dell’Europa ha avuto in questo caso un’efficiente risposta a livello globale.
In termini macroeconomici la crescita europea è stata resa possibile da un’accelerazione del rapporto investimenti/PIL che, in un periodo di dieci anni, dal 1950 al 1960, è aumentato in media del 7-8%.
Data l’identità macroeconomica fondamentale — risparmio=investimento — ciò significa che il risparmio privato si è accresciuto parimenti,; in quel periodo la quota di risparmio aggregato nei Paesi europei è passata dal 15 al 22-23%, contribuendo così al finanziamento dell’investimento
La sfida attuale
Lo sforzo attualmente richiesto per garantire l’incremento di investimento per lo sviluppo sostenibile risulta essere simile a quello intrapreso sessant’anni fa: occorre un aumento del risparmio.
In termini macroeconomici, l’aumento del risparmio rappresenta il sacrificio aggiuntivo di oggi per ottenere un maggiore beneficio domani. Quale risparmio? In presenza di esternalità, come noto, il mercato non è in grado di internalizzare i benefici sociali, rendendo insufficiente il rendimento privato degli investimenti in rinnovabili. Occorre allora ricorrere al risparmio pubblico, ovvero una politica fiscale per correggere questa scorretta allocazione delle risorse mobilitando il risparmio forzato.
Gli scenari quantitativi elaborati nei progetti di ricerca del Dipartimento di Economia della Università di Perugia, adottando lo Scenario 450 come contesto istituzionale di riferimento, stimano sia i costi diretti di investimento globale in tecnologia, sia i costi indiretti, quali ad esempio quelli di adeguamento, sostenuti dalle famiglie a seguito del cambiamento delle preferenze di consumo a favore del risparmio energetico, nonché i costi di educazione ed informazione pubblica, necessari per formare il consenso.
In complesso, il livello di investimento richiesto raggiunge il valore dell’1,75% del PIL mondiale, ovvero circa 1,38 mld di dollari all’anno (a valori di oggi) fino al 2030.
La ripartizione degli oneri complessivi per finanziare questo investimento grava sul “Private Business” (le aziende) per il 49%, direttamente sui consumatori (le famiglie) per il 18%, indirettamente sulle famiglie sotto forma di tasse ambientali per il 19% e sui governi (tramite il risparmio pubblico) per il 14%.
In sintesi, lo sforzo monetario richiesto (l’1,75% del Pil mondiale) è distinto in due componenti: una componente pubblica (paria circa 0,65%) che fa capo ai governi nazionali e una componente privata (pari al restante 1,1%) sostenuta dalle famiglie e dalle imprese.
Sottolineo che l’incremento ipotizzato delle entrate fiscali, pari allo 0,65% del PIL (magari non piacevole), appare realistico in quanto in linea con il livello attuale degli interventi governativi.
Tornando dagli Scenari di simulazione alla realtà è semplice spiegare il fallimento delle attuali politiche mondiali sullo sviluppo sostenibile. Abbiamo già visto che sono necessari ulteriori investimenti nell’ordine dell’1,75% del PIL, per un periodo prolungato. Ebbene, finora — nelle varie Conferenze mondiali — i politici sono stati in grado di vincolare risorse tra 1/5 e 1/10 di detto importo, per un periodo molto più breve.
Affido ora le conclusioni a una riflessione sulla storia dell’Europa del ‘900.
Seguendo la lezione del Piano Marshall, quello che manca oggi nel dibattito mondiale sullo sviluppo sostenibile è una aspirazione strategica a “modificare l’ambiente circostante con la politica economica”. Ricordiamo che, dal punto di vista politico, il Piano Marshall è stato ispirato dal fallimento, il tragico fallimento, di azioni politiche adottate dopo la prima guerra mondiale, vale a dire la costosa ricostruzione imposta alla Germania con il trattato di Versailles del 1919.
Esiste una triste somiglianza fra la Conferenza di Versailles del 1919 a conclusione della I guerra Mondiale e la CRISI dell’EURO di oggi.
A Versailles nel 1919 prevalse l’egoismo nazionale e la richiesta di vendetta con il Trattato che impose alla Germania il pagamento di riparazioni di guerra così onerose da non essere credibili.
Oggi con le tesi tedesche prevale un confronto mercantile, così concentrato sulla miopia della spartizione di obblighi e oneri, da fallire l’obiettivo di una visione comune per lo sviluppo futuro.
Disse Keynes nel 1919: “i nostri rappresentanti alla Conferenza di Parigi hanno commesso due grandi errori a danno dei nostri interessi. Chiedendo l’impossibile hanno sacrificato la sostanza all’apparenza e alla fine perderanno tutto. Concentrandosi su un illusorio obiettivo di sicurezza hanno trascurato l’unità economica dell’Europa, perché la sicurezza non sta nell’occupazione di frontiere più ampie.
Se la distribuzione del carbone europeo si risolve in una zuffa in cui si soddisfa per prima la Francia, poi l’Italia e tutti gli altri arraffano quello che capita, il futuro industriale dell’Europa è al buio”.
In analogia, il recente dialogo fra sordi in Europa è impostato, a mio avviso, più come un trattato di pace per regolare le partite del passato che non un manifesto per lo sviluppo futuro. Come nel Trattato di Versailles le questioni rilevanti erano concentrate sulle riparazioni del torto fatto alla Francia dalla Prussia nel 1871 sulla questione Alsazia-Lorena, così ora si discute su come riparare ai torti fatti dal debito pubblico di alcuni Paesi all’euro.
Ma attenzione: finchè sono Grecia Portogallo e Spagna a dover essere rimproverati, l’Europa si intristisce ma tiene. Ma se è la Francia ad alzare la voce come ha fatto appena all’inizio di questa settimana, allora l’esistenza intera dell’Europa è a rischio.
C’è una via d’uscita? La mia risposta è positiva. La storia insegna che il fallimento di Versailles e la tragedia della II Guerra Mondiale servì di lezione per il Piano Marshall nel 1948: “Questo programma avrà un costo per il nostro paese di miliardi di dollari. [Si impone un onere per il contribuente americano. Essa richiederà sacrifici di oggi, in modo che noi possiamo godere della sicurezza e la pace di domani.] Per essere chiaro, vi avverto che questo impegno senza precedenti del Nuovo Mondo per aiutare il Vecchio Mondo non è né sicuro né facile”. (Testimonianza di G. Marshall al Senato USA, 8/1/1948).
Dunque, come il Piano Marshall aveva imparato dal fallimento del trattato di Versailles, possiamo auspicare che le nostre Società impareranno dal fallimento della politica a farci uscire alla crisi di oggi, assumendosi oggi le proprie responsabilità.
La responsabilità di mobilitare un incremento di sforzo politico ed avere il coraggio di riformare il Trattato — in termini di riforma del mandato della Banca Centrale Europea – per dare all’Europa una politica monetaria efficace.
Possibile che l’attuale generazione — quella che stiamo formando oggi in queste Aule — non sappia fare almeno di quello che fecero i loro nonni per costruire l’Europa del dopoguerra?
Allora, se gli attuali politici, tutti i politici europei, non proporranno presto l’equivalente di un Piano Marshall per lo sviluppo sostenibile dell’Europa – cioè un accordo sulla condivisione di sacrifici presenti per ottenere benessere e prosperità futuri — essi semplicemente non saranno parte della storia: verranno spazzati via ben prima di quanto se l’aspettino, perché verranno altri a prendere il loro posto.